Su alcuni parallelismi tra l’estetica musicale spettralistica e la Neue Sachlichkeit letteraria
Inedito
Catania, 2006
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I tratti di continuità che lo spettralismo dimostra di possedere con l’evoluzione seguita dal linguaggio musicale occidentale durante gli ultimi 150 anni almeno, sono stati evidenziati in diverse occasioni. Nelle riflessioni seguenti vengono analizzati alcuni parallelismi tra il procedimento programmatico, prima che tecnico-compositivo, di radicalizzazione del timbro all’interno dei parametri compositivi e l’estetica di un pensiero musicale storico e serializzante, in senso lato [Leibowitz 1949], ovvero rivolto a uno sviluppo strutturale di carattere isomorfologico. In tale contesto esso si configura come modello peculiare di un riduzionismo fenomenologico teso alla ‘riorganizzazione’ del linguaggio musicale sulla base della sola analisi spettrale. In netta antitesi con ogni apparente volontà imitativa rivolta nei confronti del dato fisico naturale – ovvero il timbro nella stessa accezione teorizzata da Rameau – esso si impone come derivato di una teoria universalistica della technè compositiva in cui l’individualità artistica fugge dalla ovvietà del descrittivismo (l’uso del timbro come strumento evocativo) a favore di un’assunzione di metodo strutturale la cui assenza, viceversa, finirebbe col vedere coincidere – alla pari dell’estetica schaferiana – la struttura stessa dell’atto creativo con il fenomeno percettivo naturale [Ansermet 1961].
Una verifica delle derivazioni ideologiche di tale pensiero risulta utile ad una ulteriore contestualizzazione storica e socioculturale dello spettralismo.
Ciò che può definirsi ‘determinismo’ compositivo spettralistico – si noti che la scelta preliminare del contenuto armonico impiegato nelle composizioni spettralistiche potrebbe, paradossalmente, orientare verso un’adozione terminologica opposta di ‘contingentismo’ – nasce quindi dalla necessità di un modello operativo empirico basato su una estensione del fenomeno percettivo a livello macrostrutturale secondo tecniche e modalità la cui logica ricorda la necessità newtoniana delle regole armoniche tradizionali. In tale riflesso di un’idea ‘regolatrice’, pur con ovvie generalizzazioni, riecheggiano le istanze di un particolare pensiero del Novecento storico, collocabile prima delle due guerre e animato culturalmente dalle posizioni estetiche di autori come Lukàcs, Broch, Benjamin o Weber, in cui alla “disgregazione dei valori” operata da un razionalismo di matrice scientifica si opponeva l’urgenza gnoseologica (implicita anche nel concetto di costruttivismo artigianale spettralistico) di un impegno artistico non scevro da compiti e interrogativi etici: “Ma come si realizza questa esigenza etica? Sempre attraverso un’attività costruttiva che plasma l’immagine del mondo imprimendole una determinata forma. Che l’esigenza etica si realizzi nel sistema di valori del calzolaio, o in quello del militare, dell’artista o dello scienziato, in una dimensione palpabilmente reale o in una dimensione spirituale, la cosa è […] del tutto indifferente: il risultato è sempre un atto di formazione e di costruzione e cioè, nel senso più ampio, un risultato estetico.” [Broch 1933].
L’anelito ad una ‘totalità’ onnicomprensiva in cui materia e forma vengano fuse in un’acquisizione di senso – sensorialità – superiore, travalica, in Broch, l’apparente funzione di pratica combinatoria e si pone su un piano prettamente estetico in cui l’idea del fenomeno artistico è data in antitesi al concetto di ornamentale, di superfluo, di art pour l’art come arbitrio immotivato nella scelta di codici operativi anche banali ma di effetto descrittivo o imitativo. In ciò la convergenza tra lo spettralismo e le motivazioni programmatiche della cosiddetta Seconda Scuola di Vienna “[…] perché l’artista non fa nulla che gli altri ritengano bello, ma solo ciò che per lui è necessario […] ” risulta evidente, soprattutto nella volontà di sondare ed esperire il proprio materiale sonoro valutandone la coerenza organicistica e funzionale come atto conoscitivo ancor prima che la valenza normativa e classificatoria puramente formale e com-positiva.
Nell’ambito di un tale parallelismo, evidentemente estetico più che tecnico, diverse similitudini emergono ancora proprio dall’analisi della produzione saggistica di Hermann Broch. In uno scritto del 1934 pubblicato in una miscellanea in onore di Arnold Schonberg si legge: “La conoscenza irrazionale, soprattutto quella artistica, si distingue dunque dalla conoscenza scientifica grazie al carattere sintetico di ogni singolo atto artistico, della singola opera d’arte, grazie alla capacità di racchiudere il mondo intero in un singolo atto conoscitivo.”
Occorre a tal punto aprire una parentesi sull’apparente contraddizione tra il procedere compositivo spettralistico, rivolto all’osservazione acustica sulla base di strumenti d’analisi scientifici, e la critica alla cosiddetta Zivilisation da parte dei rappresentanti dell’irrazionalismo tedesco e della Lebensphilosophie bergsoniana. La contraddizione, nei fatti, si risolve su piani differenti ribadendo comunque una convergenza d’intenti: in entrambi una forte tensione alla “dilatazione del naturalismo” nell’arte – termine che in Broch designa esclusivamente la sensibilità del romanziere verso la realtà – si pone come rimedio prioritario contro lo scadimento della stessa in forme e contenuti privi di giustificazioni profonde e in quanto tali di carattere kitsch. Il raggiungimento di tale meta vede nella sinistra storica tedesca la necessità di una critica del positivismo scientifico; nella concezione spettralistica la tecnologia perde ogni implicazione scientista divenendo un semplice strumento d’indagine .
Non a caso il concetto di una composizione ontologicamente basata sul proprio stesso materiale sonoro simbolicamente tende alla ricostruzione di una ‘totalità’ – ‘immanenza vitale del senso’ nell’espressione di Lukács – che anche nell’espressionismo si avverte perduta: “Il romanzo è l’epopea di un’epoca per la quale la totalità estensiva della vita non è più data sensibilmente, per la quale l’immanenza vitale del senso si è fatta problematica, e che tuttavia ha l’anelito alla totalità” [Lukács 1962].
Ad una immagine della modernità originatasi con la frantumazione del cosmos medievale e lacerata in singole sfere di valore aventi logiche autonome e concorrenti – da notare il parallelismo con la segmentazione parametrica posta alla base del fallimento del serialismo generalizzato di Colonia descritto in Metamorfosi della forma musicale di Ligeti – si oppone un fondamento vitalistico indiscutibile imperniato sulla disalienazione del soggetto e individuabile anche nelle molteplici osservazioni di Grisey sul principio terminologico di pelle come affermazione di una possibilità innanzitutto fisica e fisiologica di percepire il suono e la sua articolazione .
Filosoficamente, all’origine, come comune chiave di lettura, si colloca il riflesso di un’intuizione schopenhauriana condivisa da Broch secondo cui il pensiero artistico “è quella capacità di presentire negli oggetti la loro ‘idea platonica’, la ‘cosa in sé’; creare artisticamente significa poter palesare concretamente tale presentimento” [Broch 1913].
Lo spettralismo, come già asserito da Schoenberg, insegue la logica di tale presentimento e ne spiega la scelta motivandone le ragioni psicoacustiche e universalistiche. Parallelamente così leggiamo nel Manuale di armonia di Schoenberg: “L’insegnamento atto ad ammaestrare un artista dovrebbe pertanto consistere al massimo nell’aiutarlo ad ascoltare se stesso, perché la tecnica e gli artifici non lo aiutano affatto. Questi ultimi dovrebbero essere possibilmente una scienza segreta, alla quale ha accesso solo chi sa trovarsela da sé. Chi sa ascoltarsi conquisterà questa tecnica, magari per una strada diversa da quella del metodo, magari per vie traverse, ma sempre con infallibile sicurezza: egli saprà udire ciò che a tutti è comune […] ”
La posizione di Murail in rapporto alla frase sopra citata è perfettamente calzante: “I would not describe this musical direction as a “school.” There is no such thing as the “spectral school”, but there are techniques which are shared by a number of composers. These techniques form an attempt to rebuild a coherent sound world, which was destroyed due to many many destructive experiences, such as generalized serialization on one hand and the aleatory experiments of John Cage, on the other hand.”
Essa esprime il desiderio di opporre ad ogni procedimento di pseudo-creatività artistica un bagaglio operativo circostanziato e teso alla ricostruzione di un sistema linguistico, tutto sommato ‘classico’, avvertito come storicamente danneggiato dall’esperienza aleatoria e dall’influsso esercitato, più o meno manifestamente, dalla cultura pop nell’indebolimento di una artigianalità creativa a favore di una speculazione ideologica esclusivamente concettualistica.
Il margine di contatto, in Murail, col pensiero di Giacinto Scelsi assume qui una prospettiva etica e deontologica in cui il rapporto con la scienza e con la tecnologia crea un continuum tra il pensiero del compositore italiano e la possibilità di una investigazione ‘alchimistica’ della materia sonora portatrice di un sapere intrinseco da disvelare . Murail: “I was also personally acquainted with the Italian composer, Giacinto Scelsi, but I was not influenced by him; however it was interesting to so how he went on a similar path, trying to explore the nature of sound, but in a very intuitive and almost, one could say, mystical way, while we were trying to do that in a scientific way”.
Una riflessione sulla possibilità di interpretazione del pensiero spettralistico all’interno della creatività musicale contemporanea, intrisa di objets trouvés o di ready made elettroacustici di duchampiana memoria conduce ad una valorizzazione deontologica dell’estetica spettralistica in netta antitesi al citato kitsch – come arte di tendenza legata all’imitazione e alla riproduzione, indifferente alla conoscenza e alla coerenza tra mezzi e risultato – già individuato da Broch all’interno della Neue Sachlichkeit letteraria, in un’età di totalitarismi trionfanti per molti versi affine a quella odierna.
Bibliografia
LEIBOWITZ R. Introduction à la musique de douze sons, L’Arche, Paris, 1949.
ANSERMET E., Les fondements de la musique dans la conscience humaine, Neu-châtel, 1961; trad.it. I fondamenti della musica nella coscienza dell’uomo, ed. Campanotto, Udine, 1995.
BROCH H., L’immagine del mondo nel romanzo in Il Kitsch, Einaudi, Torino, 1990.
BROCH H., Philistrosität, Realismus, Idealismus der Kunst, in Schriften zur Literatur. I. Kritik, ed. P.M. Lützeler, Frankfurt, Suhrkamp, 1975
LUKÁCS G., Teoria del romanzo, Milano 1962, p.98.
AA.VV., Quaderni della Civica Scuola di Musica di Milano, Geratrd Grisey, Anno 15, n.27, Milano 2000.